
Cultural Awareness
Un equivoco culturale sempre più diffuso
Negli ultimi anni, la parola privacy è entrata sempre più spesso nel linguaggio quotidiano delle famiglie.
A volte, però, viene usata per indicare situazioni molto diverse tra loro.
Un bambino chiude la porta della stanza e dice: “È la mia privacy.”
Un genitore racconta: “Non so cosa mia figlia dica all’insegnante: rispetto la sua privacy.”
Sono affermazioni che nascono da una buona intenzione: il desiderio di rispettare il bambino, di riconoscerlo come persona, di non invadere.
Eppure, qui si crea una confusione importante, che rende più difficile — non più facile — il compito educativo degli adulti.
La parola privacy viene spesso usata per parlare di autonomia, spazio personale o libertà, ma non significa automaticamente nessuna di queste cose.
Cosa si intende davvero per “privacy” (e a chi si applica)
Dal punto di vista giuridico, la privacy riguarda la protezione dei dati personali: informazioni, immagini, comunicazioni che non devono essere diffuse o trattate senza motivo legittimo.
La privacy serve a proteggere una persona da intrusioni esterne, abusi, esposizioni indebite.
– Non nasce per escludere i genitori.
– Non nasce per interrompere la responsabilità educativa.
– Non nasce per creare zone sottratte alla tutela adulta.
Quando si parla di minori, la privacy non è un diritto assoluto e autonomo, ma un diritto mediato dalla responsabilità di chi li tutela.
Questo è un punto centrale: i genitori e i tutori legali non sono “terzi” rispetto al bambino.
Dal punto di vista legale, esercitano una funzione di protezione, vigilanza ed educazione.
Per questo, la privacy non può essere opposta ai genitori come se fossero estranei, né può essere usata per giustificare il non sapere o il non chiedere.
La privacy tutela il minore dal mondo esterno, non esonera l’adulto dalla responsabilità di sapere e accompagnare.
Non sapere non è rispetto.
È abdicare alla propria responsabilità adulta.
Privacy e spazio personale: una distinzione necessaria
Qui è fondamentale fare una distinzione chiara.
Lo spazio personale è un concetto educativo e relazionale: significa rispetto dei tempi, delle emozioni, della sensibilità del bambino.
La privacy, invece, è un concetto giuridico legato alla protezione dei dati.
Un bambino ha bisogno di spazio personale, sì. Ma questo non equivale ad avere uno spazio giuridicamente privato come quello di un adulto.
Un minore non può rivendicare una stanza come “spazio inviolabile” nei confronti dei genitori.
Non perché non meriti rispetto, ma perché non ha ancora la responsabilità giuridica di ciò che accade lì dentro.
Il compito dell’adulto non è violare, ma entrare quando serve, spiegando il perché, mantenendo rispetto, senza delegare la vigilanza alla parola privacy.
Quando la privacy viene confusa con l’assenza adulta, diventa una barriera. Ma un bambino non ha bisogno di barriere contro gli adulti di riferimento: ha bisogno di adulti affidabili.
Il rispetto non crea spazi inviolabili:
crea confini sostenuti da responsabilità.
Quando i concetti sono più grandi dei bambini
Negli ultimi anni, parole come privacy, diritti, libertà personale circolano sempre di più anche nel mondo dei bambini. È normale: fanno parte del linguaggio degli adulti, della scuola, di internet, dei media.
Il problema non è che i bambini entrino in contatto con questi concetti.
Il problema è quando vengono lasciati soli ad interpretarli, o quando diventano strumenti usati senza che nessuno li abbia davvero spiegati.
Un bambino può ripetere la parola privacy senza comprenderne il significato giuridico, i limiti, le responsabilità che comporta.
Ed è normale che sia così: non è suo compito saperlo.
Dal punto di vista legale ed educativo, spetta all’adulto di riferimento tradurre questi concetti, adattarli all’età del bambino, spiegare cosa significano davvero e come si applicano nella vita quotidiana.
Questo non è solo un compito educativo: è una responsabilità giuridica. Perché i minori non sono chiamati a conoscere o interpretare la legge. Sono tutelati proprio perché c’è un adulto che ha il dovere di conoscerla e di agire di conseguenza.
Questo principio è chiarissimo anche nella normativa sulla protezione dei dati personali.
Il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) stabilisce che, per i minori, il trattamento dei dati personali richiede il consenso o l’autorizzazione di chi esercita la responsabilità genitoriale.
Questo significa che la legge non considera il bambino pienamente autonomo nella gestione di concetti complessi come la privacy. Al contrario, richiede la presenza attiva e consapevole dell’adulto.
I bambini non hanno il dovere di conoscere la legge.
Hanno il diritto che un adulto la conosca e la spieghi per loro.
Essere ascoltati non significa decidere
Un altro equivoco frequente riguarda il diritto dei bambini ad essere ascoltati.
Il Codice Civile italiano riconosce che i minori che abbiano compiuto 12 anni — o anche più piccoli, se capaci di discernimento — hanno il diritto di esprimere la propria opinione sulle questioni che li riguardano. Questa opinione deve essere tenuta in considerazione, in relazione all’età e alla maturità del minore.
Ma è fondamentale chiarire un punto: essere ascoltati non equivale ad avere il diritto di decidere.
La legge tutela il bambino proprio perché riconosce che la responsabilità delle decisioni resta in capo agli adulti.
Ascoltare un bambino significa tener conto del suo punto di vista, non trasferirgli il peso di scelte che richiedono maturità giuridica ed educativa.
Una responsabilità che cresce, ma non è delegata
La privacy non è negata ai bambini, ma cresce con loro, insieme alla capacità di gestire responsabilità, conseguenze e rischi.
Con il tempo:
- lo spazio personale si amplia,
- il diritto alla riservatezza si rafforza,
- la vigilanza adulta cambia forma.
Ma non scompare mai del tutto, perché la responsabilità adulta resta.
Rispettare un bambino non significa sparire. Significa restare presenti in modo adeguato alla sua età.
La privacy non serve a separare bambini e adulti. Serve a proteggerli insieme, dentro una relazione di fiducia e responsabilità.
La privacy tutela i bambini dal mondo esterno,
non li separa dagli adulti che hanno il compito di proteggerli.
Fonti
- Regolamento UE 2016/679 (GDPR), art. 8 – consenso dei minori
https://gdpr-info.eu/art-8-gdpr/ - Garante per la protezione dei dati personali – Minori e privacy
https://www.garanteprivacy.it/temi/minori - Codice Civile italiano, art. 315-bis – Diritti e doveri del figlio
https://legis.xligo.com/documento/it/documentazione/stato/codice.civile/art315bis/
